L’economia circolare e le imprese italiane: il convegno dell’Associazione IMQ

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All’UniCredit Pavilion di Milano hanno discusso del tema Matteo Marini, Maria Antonietta Portaluri, Tim Jackson, Andrea Bianchi e Paola Brambilla

 

Il convegno Circular – L’economia che fa sistema organizzato dall’Associazione IMQ presso l’Unicredit Pavilion di Milano, ha affrontato la relazione tra imprese ed economia circolare, nell’ambito del sistema industriale, con focus sul tema della misura e competitività. Il Presidente dell’Associazione IMQ, Matteo Marini, e Maria Antonietta Portaluri, Vicepresidente con delega alla Sostenibilità, hanno aperto i lavori e dato il via agli interventi dei relatori: Tim Jackson, Economista e Direttore del CUSP (Centre for the Understanding of Sustainable Prosperity), Andrea Bianchi, Direttore Area Politiche Industriali di Confindustria e Paola Brambilla, Delegato WWF Italia per la Lombardia.

Il tema dell’economia circolare tocca tutti, dalle industrie ai cittadini, per questo deve essere centrale nella prospettiva economica e politica di Italia e Europa”  sottolinea Matteo Marini, Presidente dell’Associazione IMQ. “IMQ, in questo quadro, si pone come trampolino per dare lo slancio a questo processo: la nostra mission è infatti quella di tutelare sia aziende, sia consumatori, e in generale di diffondere una cultura di sicurezza, qualità e sostenibilità. IMQ riunisce in un’unica entità i diversi attori coinvolti: dalle imprese alle istituzioni, agli enti di normazione tecnica, alla cultura e all’università, fino all’utente finale; può dunque rappresentare la sintesi di un processo, di un sistema virtuoso, in cui, ad oggi, manca la fase di chiusura del cerchio, ovvero la certificazione, che permette di rendere trasparenti tutti i passaggi precedenti”.

“La nuova visione di un’economia circolare e sostenibile richiede un ruolo di rinnovata responsabilità per tutti i livelli della filiera, nella produzione e progettazione di beni e strumenti sostenibili, ai fini di un loro riutilizzo e riciclo, sia per un nuovo consumo responsabile. Occorre implementare e gestire nuovi modelli di produzione e consumo responsabile, ritrovando anche nell’innovazione una leva di crescita e sostenibilità. Un ruolo fondamentale nell’incentivare l’economia circolare è sicuramente rivestito dalle istituzioni: il 14% del PIL è infatti rappresentato dagli appalti, e in questo senso la domanda pubblica è una leva straordinaria per implementare politiche ambientali e sostenibili” ha affermato Maria Antonietta Portaluri, Vicepresidente dell’Associazione IMQ con delega alla Sostenibilità. “La direzione in cui bisogna muoversi è evidentemente quella di un cambio di paradigma nel modello: occorre spingere e caratterizzare la domanda verso produzione e consumo sostenibili; occorre favorire anche in termini applicativi una valutazione dell’offerta più economicamente vantaggiosa intesa non come semplice prezzo, ma come costo complessivo. La Total Expenditure riguarda infatti tutto il ciclo di vita, dai costi di manutenzione alla performance energetica, attraverso prestazioni misurabili e certificabili che portino un vantaggio non solo ambientale ma anche economico. Richiamato sullo sfondo il parametro base sia già implementato con i Criteri Ambientali Minimi, dobbiamo continuare a lavorare nella direzione dell’innovazione e del partenariato perché l’aspetto ambientale abbia uno spazio sempre più significativo nelle scelte governative, amministrative e imprenditoriali”.

Un elemento chiave del discorso sull’economia circolare è la differenza tra prosperità e crescita: è necessario cambiare l’architettura della nostra economia ripensandola a partire dalle sue stesse fondamenta” sottolinea Tim Jackson, economista e Direttore del CUSP. “Il sistema odierno si basa su una privatizzazione dei guadagni e una socializzazione dei costi, che vengono pagati dall’ambiente, con una conseguente perdita del nostro ecosistema del futuro. La mia tesi è che già oggi abbiamo gli strumenti e le possibilità per costruire le fondamenta dell’economia del domani, un’economia che funzioni per tutti. Per prima cosa bisogna riformulare la nozione di impresa in termini di servizio, spostando l’attenzione dalla quantità all’efficienza e dunque alla qualità; in questo modo ogni elemento della società dev’essere ricalibrato secondo un nuovo vocabolario economico, in cui il lavoro diventi coinvolgimento sociale piuttosto che produttività, gli investimenti diventino commitment sul futuro invece che speculazione finanziaria. Dobbiamo chiederci cosa vuol dire prosperità in un mondo limitato: per me la risposta è che vuol dire fiorire come essere umani”.

Per l’industria l’aspetto ambientale è ormai imprescindibile, ma dev’essere visto come un’opportunità piuttosto che un vincolo” ha dichiarato Andrea Bianchi, Direttore Area Politiche Industriali di Confindustria. “L’Italia ha un comportamento virtuoso e performance superiori alla media europea in ambito di economia circolare, grazie alla sua storia manifatturiera di utilizzo intelligente delle materie prime, ma le sfide sono ancora significative, in particolare riguardo all’emergenza rifiuti. Come sistema confindustriale chiediamo un piano nazionale su tre punti principali: un abbattimento delle barriere normative con un nuovo assetto statale; un adeguamento impiantistico in ottica di circolarità; un utilizzo della domanda pubblica funzionale allo sviluppo di un mercato privato attraverso il riconoscimento dei prodotti, ad esempio tramite la certificazione, che porti ad un sistema di classificazione standard”.

Il benessere e la salute sono una sfida globale e la risposta alla complessità dei problemi ad essi connessi dev’essere culturale, attraverso l’introduzione di standard a tutti i livelli, dall’istituzione all’impresa, fino al consumatore finale, che deve essere aiutato e supportato nelle scelte: la sfida della sostenibilità, infatti, si gioca soprattutto sulla domanda, attraverso i 9 miliardi di persone che orientano l’offerta con le loro scelte” ha concluso Paola Brambilla, Delegato WWF Italia per la Lombardia. “Le Nazioni Unite hanno stilato un insieme di 17 Sustainable Development Goals, che le imprese devono saper utilizzare come opportunità per fare business: il settore privato deve muoversi di concerto con i governi al fine di adottare standard comuni e processi trasparenti. L’adozione di standard volontari ambientali credibili, ovvero di processi certificati, porta a benefici sistemici e diretti non solo per l’ambiente, ma anche per l’impresa stessa. La direzione è quella di un’economia sostenibile in cui i servizi ecosistemici diventino una componente del costo e i limiti di risorse finite non siano un ostacolo ma un valore per il rispetto dei diritti umani di tutti. Il ruolo delle ONG nella diffusione della cultura della circolarità, nella validazione da parte di soggetti terzi del sistema, da credibilità all’insieme e aiuta il consumatore a comprenderne il valore”.

Lo stato dell’arte e gli obiettivi

Tra i grandi Paesi europei, l’Italia è quello con la quota maggiore di recupero di materia prima nel sistema produttivo, con una quota pari al 18,5%. L’Italia infatti, con 256,3 tonnellate per milione di euro prodotto, è il più efficiente tra i grandi Paesi europei nel consumo di materia dopo la Gran Bretagna (che impiega 223,4 tonnellate di materia per milione di euro).

In dieci anni è riuscita a dimezzare il proprio consumo di materie prime, facendo molto meglio rispetto alla Germania che, oggi, impiega 423,6 tonnellate di materia per milione di euro. L’Italia è anche seconda per riciclo industriale, con 48,5 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi avviati a recupero (dopo la Germania con 59,2 milioni di tonnellate ma prima di Francia, 29,9 t.; Regno Unito, 29,9 t. e Spagna, 27 t.). Un recupero che fa risparmiare energia primaria per oltre 17 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all’anno, ed emissioni per circa 60 milioni di tonnellate di CO2[1].

All’economia circolare è dedicato il pacchetto di provvedimenti approvato lo scorso 20 aprile dal Parlamento europeo. Secondo gli obiettivi del piano, la quota di rifiuti urbani da riciclare dovrà passare dall’attuale 44% al 55% nel 2025, fino al 65% nel 2035. Entro il 2035 non più del 10% dei rifiuti potrà essere smaltito nelle discariche (in Italia è al 28% per il 2016).

 

A che punto sono le aziende

In questi anni le imprese hanno investito soprattutto nelle attività di marketing e commerciali (61%) e nelle attività di ricerca e sviluppo e rinnovo dei propri prodotti (48%). Il 52% dichiara che l’occupazione è aumentata grazie all’adozione di pratiche di economia circolare, l’assunzione di nuove figure professionali tecniche e l’aggiornamento delle risorse interne. L’economia circolare offre alle imprese ampi spazi di innovazione e competizione attraverso una gestione più efficiente delle risorse e l’adozione delle nuove tecnologie riconducibili nell’ambito dell’industria 4.0.

 

Il ruolo della certificazione

In tale contesto la certificazione si attesta come necessaria, quale opportunità e strumento di verifica della misura di circolarità sia sui processi industriali, sia sui prodotti. E necessari sono standard oggettivi misurabili, in funzione di sicurezza e sostenibilità (quali le certificazioni di processi e di prodotti).

Il Gruppo IMQ è presente e lo sarà ancora di più nell’affiancare l’industria nella certificazione della circolarità, perché un valore è tale se viene correttamente percepito, misurato e certificato.

 Numerosi sono le soluzioni già offerte da IMQ nel suo ruolo di principale organismo italiano nella valutazione della conformità. Tra gli altri, l’LCA (Life Cycle Assessment), la Carbon e la Water Footprint, il supporto nell’applicazione della direttiva EcoDesign, ma anche strumenti come l’impronta ambientale dei prodotti (PEF) e delle organizzazioni (OEF).

IMQ effettua test di invecchiamento accelerato e revamping, prove di biodegradabilità dei materiali e accreditamento per la raccolta RAEE. Alcune certificazioni, infine, garantiscono il rispetto di parametri ambientali: la certificazione FSC ® identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici; PEFCTM certifica invece che le foreste, i prodotti in legno, la carta, i derivati dalla cellulosa e i prodotti forestali non legnosi rispettino specifici parametri, criteri e indicatori relativi ad aspetti ambientali e sociali.

[1] Studio “100 Italian circular economy stories” promosso da Enel e Fondazione Symbola

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